Una volta lavoravo, poi ho smesso...

Qualche giorno fa, navigando su internet, mi sono imbattuto nel classico "meme". Una di quelle immagini che riporta una frase o una battuta ironica, come in questo particolare caso.
La battuta è più o meno così:

"Che cosa desideri più di ogni altra cosa?"
"Un drago."
"Eddai! Qualcosa di più realistico?"
"Un lavoro."
"Mh... di che colore lo preferisci il drago?"

Una battuta estremamente carina, che mi ha fatto davvero ridere. Ma che, come tutte le battute indovinate, mi ha anche provocato tanta amarezza.

Amarezza soprattutto perchè è una questione che conosco bene.
Da troppo tempo ci si sente dire "al momento siamo al completo" in alternativa al più conosciuto, ma mai fuori moda, "le faremo sapere".
Oltre questo, accendo la tv e ascolto il solito politico che parla di disoccupazione tirando fuori numeri, percentuali e grafici con la convinzione di avere sotto controllo la situazione.

Per capire come si sente davvero una persona che sta cercando lavoro, bisogna prima di tutto ascoltare la sua storia. Bisogna capire i suoi bisogni e sondare sopratutto una cosa, chiamata "prospettiva".

Passare molto tempo senza lavorare, ma soprattutto senza ricevere uno stipendio degno di questo nome, non priva una persona soltanto di comprarsi uno smartphone nuovo. Gli toglie la possibilità di fare progetti, di costruirsi una vita, di ottenere un'indipendenza.

Ho sentito dire che "comodo questi giovani che stanno a casa da mamma e papà, serviti, riveriti, con i panni stirati".
Vorrei proprio conoscere il "giovane" contento di stare a casa con i propri genitori, contento e sereno di svegliarsi tutti i giorni dopo le 10 del mattino e gironzolare per casa in pigiama, mangiucchiando schifezze davanti alla tv. Come minimo ha dei problemi.
Come potete pensare che un ragazzo di almeno 35 anni non desideri avere la libertà di portarsi una ragazza e in casa e dormirci assieme? O semplicemente di prepararsi un pranzo mangiando quello che vuole? Anche il più pigro dei fancazzisti desidererebbe avere un minimo di privacy.

A fronte di questi bisogni fisiologici, il giovanotto è più che mai determinato ad uscire di casa e cercarsi un lavoro. E gira tra un'azienda e l'altra lasciando curricula.

Le sue prime tappe sono certamente (e vorrei ben dire!) qualcosa di inerente ai propri studi, alle proprie ambizioni. Ha fatto spendere un patrimonio in università, e ripaga i sacrifici della sua famiglia scegliendo il primo lavoro che gli capita? Ovviamente no... e non lo dico con sarcasmo.
Cercare di ottenere un'occupazione incline ai propri desideri è un dovere verso se stessi, e verso l'intera società.
Se io so fare qualcosa, è giusto che metta disposizione queste competenze, per il bene della società.

Dopo diversi mesi di fallimenti (ricerche a vuoto, datori di lavoro che ti sfruttano e non ti pagano) il giovanotto inizia a capire che forse è il caso di cercare qualcosa di diverso, di più "umile", in modo da riuscire a fare un gruzzoletto.
Ma anche li diventa complicato, manca l'esperienza, la specializzazione. Se decido di orientarmi verso una mansione differente devo saper ricoprire quel ruolo. Quante volte ho visto laureati a pieni voti trovarsi in difficoltà persino a dare un resto alla cassa?
Non è una colpa, è la difficoltà di chi si è orientato verso una professione e ci cimenta in una completamente diversa.
Un buon commercialista, se lo metti a fare il pizzaiolo, con molte probabilità fallirà. E' normale.

Ed ecco che i mesi diventano anni.
Il conto in banca scende. I genitori diventano nonni. Ed invecchiano.
Sono loro a pagare la bolletta del telefono e la rata della macchina.
E per quanto il giovanotto possa rendersi utile per non sentirsi un peso, è difficile la sera, quando si infila sotto le coperte, non provare un senso di vergogna.

Vergogna scaturita da essere l'anello debole di una famiglia. Riflette a quanti errori ha commesso per ritrovarsi una situazione che gli appare senza via d'uscita.

Il nostro giovanotto di 40 anni che ha smesso di lavorare (per diverse ragioni) è un uomo che ancora indossa t-shirt con stampe colorate, con i capelli che diventano sempre più brizzolati, la schiena sofferente dei primi acciacchi.
Si addormenta nervosamente, mentre la nostra macchina da presa immaginaria si allontana dissolvendosi in nero, lasciando l'incognita della giornata successiva, che non sa neppure se arriverà.


Il fantasma formaggino

Qualche sera fa.
Una di quelle di fine ottobre, quando arrivano i primi freddi ed a cena ha bisogno di qualcosa che più che nutrirti, ti apra lo stomaco e ti scaldi il cuore.
In altre parole... ci sta bene la minestrina. Quella fatta col brodino di dado, e la pastina all'uovo (almeno quello, altrimenti sembrerebbe di essere in ospedale).

Ma diciamocelo... un brodo caldo quando fuori è freddo è un vero toccasana.

Anzichè aggiungere la solita grattata di parmigiano, ho deciso di fare la "zozzata" di infilarci uno spicchio di formaggino. Per la precisione, la Crema Bel Paese di Galbani.

Mentre gustavo il caratteristico sapore acidulo dato dal formaggino, osservavo la scatola circolare di cartone e non ho potuto fare a meno di lanciarmi in una delle mie solite riflessioni.

Non so come la pensiate in proposito, ma penso al formaggino come l'alimento per antonomasia destinato ai bambini: al pari del cioccolato al latte, del Nesquik e del biscotto Plasmon. Quella golosità che, superata la pubertà, devi inevitabilmente abbandonare e passare a cose più "hardcore", come il gorgonzola e il grasso del prosciutto crudo.
Ho ripensato alle pubblicità dei formaggini Susanna e del formaggio Tigre, che da piccolo ero convinto che fosse finanziato dall'Uomo Tigre in persona... lo desideravo solo per quello, per poi pentirmene perchè da piccolo non ero abituato al sapore spigoloso dell'hemmenthal svizzero.

Dopo un rapido viaggio nel tempo, torno ai giorni nostri e osservo il formaggino che mi sono appena sbaffato. Rifletto sul fatto che non è un semplice "formaggino" dalla confezione accattivante e con un buffo personaggio stampato. Si tratta della CREMA BEL PAESE (mica cazzi, cioè...), un tipo di formaggio destinato agli adulti. Sarebbe come avere il formaggino del gorgonzola (e se ci fosse, giuro che lo comprerei).

Ma allora qual'è il senso di questo "formato"? Perchè realizzare la versione "junior" di un prodotto destinato ai "grandi"?

Mi sono dato questa spiegazione.
Possono passare anni, decenni... ma non passa mai quel desiderio di sentirci bambini e di fare le cose che facevamo da bambini, e siccome mangiare il formaggino MIO a 40 anni suscita inevitabilmente vergogna, allora che fanno i produttori? Prendono un prodotto "adulto", e lo fanno in formato per bambini, in modo che noi 40enni possiamo comprarlo senza vergognarcene.
E' come la Fiesta al caffè. Una merendina destinata ai più "giovani" che viene condita con un'ingrediente per grandi, che quindi ha l'unico vero effetto di far continuare a mangiare Fiesta a chi la mangiava da piccolo.

Davvero, a te che mangi la Fiesta, ti interessa che sia al caffè? O ritorni bambino a vedere e maneggiare la tipica confezione con quello spiraglio trasparente che ti fa vedere le caratteristiche onde di cioccolato? E magari la tieni pure in frigo, in maniera che mordendola senti la glassa scricchiolare prima del morbido contatto col pan di spagna?

Qualcuno direbbe, a fronte di questo discorso "ma che te ne frega". Nel senso, "perchè devo comprare o non comprare questo per paura del giudizio della gente?".

La verità purtroppo, è che siamo costantemente soggetti al giudizio della società. Non è semplice "dar retta agli altri", è semplicemente il modello di vita che ti sta attorno e che, di conseguenza, ti insegna come adattarti ad esso per poterci sopravvivere.
E' il motivo per cui generazioni intere hanno iniziato a fumare per sentirsi grandi, prendere la patente appena compiuti 18 anni e smettere di mangiare determinati cibi perchè "ormai si è grandi".

Si potrebbe dire che tutto questo è un gigantesco errore perchè "nessuno ragiona con la propria testa" ma se ci pensate un secondo, non è così. Viviamo in un mondo che ha le proprie regole, e se non ci adeguiamo, rischiamo di esserne allontanati.
Che sia giusto o no, non è questo il punto.

Il fatto però che diventi superficialità deriva dal fatto che basta che qualcuno di importante ci apra una strada e noi la seguiremo: la famigerata "moda".
Paradossalmente, se un grande chef usasse del formaggino per realizzare una squisita cheesecake, molti cambierebbero opinione.

Ma ritorniamo al punto iniziale. L'esistenza del "formaggino per adulti".
Si tratta di una coccola, di un modo per tornare indietro, si andare a toccare quel senso di nostalgia che in moltissimi campi è sfruttatissimo: pensate ai film, ai videogiochi, alla pittura stessa, con il fenomeno della Pixel Art che altro non è che un modo di riproporre immagini che negli anni 80 e 90 erano limitate per forza, ma che oggi diventa una corrente artistica.

Forse si sgretola l'idea che diventando adulti determinate cose cambiano, che non si può pretendere che un bambino cresciuto con i robottoni di Go Nagai una volta scoccata la campana della maturità se ne dimentichi.
O forse siamo una generazione cresciuta a nostra volta con un certo tipo di modello che oggi si sta rivelando più che mai controproducente.
Chissà.