Una volta lavoravo, poi ho smesso...

Qualche giorno fa, navigando su internet, mi sono imbattuto nel classico "meme". Una di quelle immagini che riporta una frase o una battuta ironica, come in questo particolare caso.
La battuta è più o meno così:

"Che cosa desideri più di ogni altra cosa?"
"Un drago."
"Eddai! Qualcosa di più realistico?"
"Un lavoro."
"Mh... di che colore lo preferisci il drago?"

Una battuta estremamente carina, che mi ha fatto davvero ridere. Ma che, come tutte le battute indovinate, mi ha anche provocato tanta amarezza.

Amarezza soprattutto perchè è una questione che conosco bene.
Da troppo tempo ci si sente dire "al momento siamo al completo" in alternativa al più conosciuto, ma mai fuori moda, "le faremo sapere".
Oltre questo, accendo la tv e ascolto il solito politico che parla di disoccupazione tirando fuori numeri, percentuali e grafici con la convinzione di avere sotto controllo la situazione.

Per capire come si sente davvero una persona che sta cercando lavoro, bisogna prima di tutto ascoltare la sua storia. Bisogna capire i suoi bisogni e sondare sopratutto una cosa, chiamata "prospettiva".

Passare molto tempo senza lavorare, ma soprattutto senza ricevere uno stipendio degno di questo nome, non priva una persona soltanto di comprarsi uno smartphone nuovo. Gli toglie la possibilità di fare progetti, di costruirsi una vita, di ottenere un'indipendenza.

Ho sentito dire che "comodo questi giovani che stanno a casa da mamma e papà, serviti, riveriti, con i panni stirati".
Vorrei proprio conoscere il "giovane" contento di stare a casa con i propri genitori, contento e sereno di svegliarsi tutti i giorni dopo le 10 del mattino e gironzolare per casa in pigiama, mangiucchiando schifezze davanti alla tv. Come minimo ha dei problemi.
Come potete pensare che un ragazzo di almeno 35 anni non desideri avere la libertà di portarsi una ragazza e in casa e dormirci assieme? O semplicemente di prepararsi un pranzo mangiando quello che vuole? Anche il più pigro dei fancazzisti desidererebbe avere un minimo di privacy.

A fronte di questi bisogni fisiologici, il giovanotto è più che mai determinato ad uscire di casa e cercarsi un lavoro. E gira tra un'azienda e l'altra lasciando curricula.

Le sue prime tappe sono certamente (e vorrei ben dire!) qualcosa di inerente ai propri studi, alle proprie ambizioni. Ha fatto spendere un patrimonio in università, e ripaga i sacrifici della sua famiglia scegliendo il primo lavoro che gli capita? Ovviamente no... e non lo dico con sarcasmo.
Cercare di ottenere un'occupazione incline ai propri desideri è un dovere verso se stessi, e verso l'intera società.
Se io so fare qualcosa, è giusto che metta disposizione queste competenze, per il bene della società.

Dopo diversi mesi di fallimenti (ricerche a vuoto, datori di lavoro che ti sfruttano e non ti pagano) il giovanotto inizia a capire che forse è il caso di cercare qualcosa di diverso, di più "umile", in modo da riuscire a fare un gruzzoletto.
Ma anche li diventa complicato, manca l'esperienza, la specializzazione. Se decido di orientarmi verso una mansione differente devo saper ricoprire quel ruolo. Quante volte ho visto laureati a pieni voti trovarsi in difficoltà persino a dare un resto alla cassa?
Non è una colpa, è la difficoltà di chi si è orientato verso una professione e ci cimenta in una completamente diversa.
Un buon commercialista, se lo metti a fare il pizzaiolo, con molte probabilità fallirà. E' normale.

Ed ecco che i mesi diventano anni.
Il conto in banca scende. I genitori diventano nonni. Ed invecchiano.
Sono loro a pagare la bolletta del telefono e la rata della macchina.
E per quanto il giovanotto possa rendersi utile per non sentirsi un peso, è difficile la sera, quando si infila sotto le coperte, non provare un senso di vergogna.

Vergogna scaturita da essere l'anello debole di una famiglia. Riflette a quanti errori ha commesso per ritrovarsi una situazione che gli appare senza via d'uscita.

Il nostro giovanotto di 40 anni che ha smesso di lavorare (per diverse ragioni) è un uomo che ancora indossa t-shirt con stampe colorate, con i capelli che diventano sempre più brizzolati, la schiena sofferente dei primi acciacchi.
Si addormenta nervosamente, mentre la nostra macchina da presa immaginaria si allontana dissolvendosi in nero, lasciando l'incognita della giornata successiva, che non sa neppure se arriverà.


Il fantasma formaggino

Qualche sera fa.
Una di quelle di fine ottobre, quando arrivano i primi freddi ed a cena ha bisogno di qualcosa che più che nutrirti, ti apra lo stomaco e ti scaldi il cuore.
In altre parole... ci sta bene la minestrina. Quella fatta col brodino di dado, e la pastina all'uovo (almeno quello, altrimenti sembrerebbe di essere in ospedale).

Ma diciamocelo... un brodo caldo quando fuori è freddo è un vero toccasana.

Anzichè aggiungere la solita grattata di parmigiano, ho deciso di fare la "zozzata" di infilarci uno spicchio di formaggino. Per la precisione, la Crema Bel Paese di Galbani.

Mentre gustavo il caratteristico sapore acidulo dato dal formaggino, osservavo la scatola circolare di cartone e non ho potuto fare a meno di lanciarmi in una delle mie solite riflessioni.

Non so come la pensiate in proposito, ma penso al formaggino come l'alimento per antonomasia destinato ai bambini: al pari del cioccolato al latte, del Nesquik e del biscotto Plasmon. Quella golosità che, superata la pubertà, devi inevitabilmente abbandonare e passare a cose più "hardcore", come il gorgonzola e il grasso del prosciutto crudo.
Ho ripensato alle pubblicità dei formaggini Susanna e del formaggio Tigre, che da piccolo ero convinto che fosse finanziato dall'Uomo Tigre in persona... lo desideravo solo per quello, per poi pentirmene perchè da piccolo non ero abituato al sapore spigoloso dell'hemmenthal svizzero.

Dopo un rapido viaggio nel tempo, torno ai giorni nostri e osservo il formaggino che mi sono appena sbaffato. Rifletto sul fatto che non è un semplice "formaggino" dalla confezione accattivante e con un buffo personaggio stampato. Si tratta della CREMA BEL PAESE (mica cazzi, cioè...), un tipo di formaggio destinato agli adulti. Sarebbe come avere il formaggino del gorgonzola (e se ci fosse, giuro che lo comprerei).

Ma allora qual'è il senso di questo "formato"? Perchè realizzare la versione "junior" di un prodotto destinato ai "grandi"?

Mi sono dato questa spiegazione.
Possono passare anni, decenni... ma non passa mai quel desiderio di sentirci bambini e di fare le cose che facevamo da bambini, e siccome mangiare il formaggino MIO a 40 anni suscita inevitabilmente vergogna, allora che fanno i produttori? Prendono un prodotto "adulto", e lo fanno in formato per bambini, in modo che noi 40enni possiamo comprarlo senza vergognarcene.
E' come la Fiesta al caffè. Una merendina destinata ai più "giovani" che viene condita con un'ingrediente per grandi, che quindi ha l'unico vero effetto di far continuare a mangiare Fiesta a chi la mangiava da piccolo.

Davvero, a te che mangi la Fiesta, ti interessa che sia al caffè? O ritorni bambino a vedere e maneggiare la tipica confezione con quello spiraglio trasparente che ti fa vedere le caratteristiche onde di cioccolato? E magari la tieni pure in frigo, in maniera che mordendola senti la glassa scricchiolare prima del morbido contatto col pan di spagna?

Qualcuno direbbe, a fronte di questo discorso "ma che te ne frega". Nel senso, "perchè devo comprare o non comprare questo per paura del giudizio della gente?".

La verità purtroppo, è che siamo costantemente soggetti al giudizio della società. Non è semplice "dar retta agli altri", è semplicemente il modello di vita che ti sta attorno e che, di conseguenza, ti insegna come adattarti ad esso per poterci sopravvivere.
E' il motivo per cui generazioni intere hanno iniziato a fumare per sentirsi grandi, prendere la patente appena compiuti 18 anni e smettere di mangiare determinati cibi perchè "ormai si è grandi".

Si potrebbe dire che tutto questo è un gigantesco errore perchè "nessuno ragiona con la propria testa" ma se ci pensate un secondo, non è così. Viviamo in un mondo che ha le proprie regole, e se non ci adeguiamo, rischiamo di esserne allontanati.
Che sia giusto o no, non è questo il punto.

Il fatto però che diventi superficialità deriva dal fatto che basta che qualcuno di importante ci apra una strada e noi la seguiremo: la famigerata "moda".
Paradossalmente, se un grande chef usasse del formaggino per realizzare una squisita cheesecake, molti cambierebbero opinione.

Ma ritorniamo al punto iniziale. L'esistenza del "formaggino per adulti".
Si tratta di una coccola, di un modo per tornare indietro, si andare a toccare quel senso di nostalgia che in moltissimi campi è sfruttatissimo: pensate ai film, ai videogiochi, alla pittura stessa, con il fenomeno della Pixel Art che altro non è che un modo di riproporre immagini che negli anni 80 e 90 erano limitate per forza, ma che oggi diventa una corrente artistica.

Forse si sgretola l'idea che diventando adulti determinate cose cambiano, che non si può pretendere che un bambino cresciuto con i robottoni di Go Nagai una volta scoccata la campana della maturità se ne dimentichi.
O forse siamo una generazione cresciuta a nostra volta con un certo tipo di modello che oggi si sta rivelando più che mai controproducente.
Chissà.


La mia più grande Passione

Giorni fa stavo spulciando un social network dedicato ai videogames, e mi imbatto in qualcosa che che cattura la mia attenzione.
Visualizzo il profilo di un utente e leggo quanto segue:
"Mi chiamo Giannino Piropiro, ho un età compresa tra i 12 e 42 anni, e la mia più grande passione sono i videogames."

Non riesco a distogliere lo sguardo da questa presentazione. Ho bisogno di rileggerla, come se volessi trovarne un senso. O meglio, il senso è abbastanza chiaro, ma quella frase mi disturba.
"... la mia più grande passione sono i videogames."
Avete notato anche voi qualcosa di strano?
"... LA MIA PIU' GRANDE PASSIONE..."

Ci siete riusciti? Facciamo un rapido esempio per aiutarvi:
"Il mio passatempo preferito sono i videogames."
"La mia più grande passione sono i videogames."

Tra le due frasi è piuttosto evidente un messaggio completamente diverso.
Tranquilli, non sto cercando di rifilarvi uno strampalato corso di grammatica (tra l'altro di dubbia attendibilità), adesso arrivo al nocciolo della questione.

Avrei voluto interloquire con questo utente e chiederli, anche con un po' di spocchia:
"Ma tu, lo sai cos'é una passione?"

Per quanto reputi i videogames un passatempo molto bello e gratificante, definirlo "passione" mi sembra un pelino esagerato. Dall'esempio, potete leggere voi stessi che c'è una bella differenza tra "passatempo" e "passione".
La Passione (si, quella con la P maiuscola) è qualcosa di viscerale, che ti travolge, che si nutre dei tuoi stessi desideri e che coltivi per anni o addirittura per tutta la vita.
Non a caso si mette passione quando si ama una donna (o un uomo), non sarebbe certo molto carino dire alla propria metà "Tu sei il mio più grande passatempo". Scatenereste un equivoco piuttosto grave.

Ma spostiamo l'argomento, sennò sembra che voglia prendere di mira i videogiochi (una pratica piuttosto diffusa ultimamente):
"Il mio più grande passatempo è la cucina."
"La mia più grande passione è la cucina."
Esatto, visto che va di moda seguire programmi di cucina vari e diventare grandi chef e pasticcieri, vi beccate l'arte culinaria.

Nonostante abbia volutamente aggiunto l'aggettivo superlativo "più grande" è abbastanza palese la differenza nel pronunciare queste due frasi.
E immaginatevi di trovarvi di fronte uno dei giudici di Master Chef mentre dite che la vostra PIU' GRANDE PASSIONE è cucinare.

Il vostro interlocutore pluristellato griderebbe "AH!" mentre incrocia le braccia e vi trafigge con uno sguardo di ghiaccio. Ed in quegli occhi leggerete:
"Tu credi di avere Passione? Tu pensi che perchè sai cucinare un piatto di pasta o un pezzo di carne credi di sapere cosa sia avere PASSIONE per questo lavoro? Avere AMORE per il cibo? Avere la CURIOSITA' per sperimentare e creare ed allo stesso tempo l'UMILTA' di sapere che ogni giorno puoi ancora imparare?"

Discorso applicabile a moltissimi altri campi, non trovate?

Quando ero più piccolo, avevo una grande passione per il fumetto. Non sto usando la parola a sproposito, era proprio una vera Passione, di quelle forti e travolgenti.
Leggevo molti fumetti, spaziando tra diversi generi, compresi saggi e manuali sull'argomento.
Adoravo la narrazione per immagini, mi sono "battuto", seppure con pochi mezzi, per la valorizzazione del fumetto come forma artistica, al punto da presentare la mia tesi di laurea su uno degli autori che più mi ha appassionato, il grande Go Nagai.
Esattamente, ho discusso di fronte alla commissione di Mazinga Z e di Devilman.

Desideravo molto diventare fumettista, riempivo quaderni di storie (più o meno belle), studiavo, mi esercitavo... e soprattutto sognavo.

Infine cosa è successo?
Beh... forse questa mia passione non è stata sufficientemente potente.
Gli ostacoli che mi si sono presentati lungo la strada sono stati più difficili del previsto, e il prezzo per superarli sarebbe stato molto più alto del desiderio di raggiungere la meta.
Detto molto volgarmente, mi sono fatto due conti ed ho capito che non sarebbe stata una strada felice.
Io non reputo una sconfitta saper rinunciare ad una strada che non puoi percorrere. Chiaramente per amore si possono fare tante cose, ma credo che sia un gesto di responsabilità sapersi fermare.

Quello che però vorrei farvi capire, è che c'è stato un forte desiderio, c'è stato un lavoro ed un percorso (per quanto incompleto) che mi ha certamente arricchito. Ho amato il fumetto, ma come tutte le storie d'amore non è impossibile che possano finire... o almeno, ridimensionarsi un po'.

Ma torniamo all'inizio, abbandonando questa (spero!) interessante divagazione. Torniamo al nostro utente con la Grande Passione per i Videogiochi.
Sicuramente quando l'ha scritto non si è fatto il mio stesso pippone, e non sarà certo l'ultima persona ad usare il termine "passione" in vari contesti senza preoccuparsene più di tanto.

Però vorrei che a questo concetto venisse data la giusta importanza, che alla domanda "qual'è la tua più grande passione" segua una risposta ben ponderata. Perchè stiamo dicendo che cosa amiamo, che cosa ci riempe la vita e quindi ci definisce come individui.

In poche parole, stiamo dicendo chi siamo.


Lo Chef Incazzoso

Sono passati ormai due anni dal giorno in cui decidesti di prendere in mano l'attività di un anziano signore ormai stanco e desideroso di prendersi una pausa.
Ti piaceva il ristorante che ti ha venduto, e ricordi che hai pensato distintamente "io potrei fare di meglio" ogni volta che ci passavi una serata.
Ti rendi conto solo ora di quanto sei stato superbo ed incauto in quella valutazione.

I clienti scarseggiano, i pochi che vengono trattengono a stento smorfie preoccupanti, come se avessero mangiato nella discarica del porto, e quando li saluti dicendo "Arrivederci" speri di cogliere un qualche segnale che ti illuda che tu possa rivedere ancora le loro facce.
Ti dicono "Si, si, ci vediamo ALLA PROSSIMA" ma quando ti sei visto fare il gesto dell'ombrello poco prima di vederli salire in macchina, ti assale il vago sospetto che, forse forse, una prossima volta non ci sarà.

"Ma quale sarà mai il problema? La nostra cucina è OTTIMA!" ma poi ti viene il dubbio che l'ultimo topo morto che hai trovato nel congelatore non aveva una bella faccia...

I tuoi clienti hanno forse un gusto che tu non comprendi?
Nel tuo staff c'è qualcuno che ti sta sabotando?
O forse hai semplicemente sbagliato tutto è dovresti chiudere tutto e lasciare che si occupi di cibo chi davvero sa farlo? Non come te, che fino a due anni prima facevi il corriere ed hai deciso di aprire un ristorante per "cambiare aria".
Purtroppo anche chiudere sarebbe un problema, sommerso come sei dai debiti.

Ma proprio nel momento del bisogno, nella notte più profonda, nessun malvagio ristorante rimarrà senza aiuto! Il cielo di rabbuia di colpo preparandosi alla tempesta, le nubi si aggrovigliano in un gigantesco turbine ed un fulmine scoppia nel parcheggio.
Dal fumo si alza una figura dalle sembianze umane. Thor? Terminator?
Macchè... è appena giunto lo Chef Incazzoso, che udite le tue preghiere si prepara a sodomizzarti ad aiutarti a risollevare le sorti della tua attività di ristorazione!

"Oh, Chef Incazzoso! Fai di me ciò che vuoi!" ed egli ti molla un destro che neanche Mike Tyson negli anni 80 ne sarebbe stato capace.
"Cominciamo bene!" dici mentre ti rialzi.

"Chiedo scusa, il viaggio è sempre un po' stressante" dice mentre si ricompone rapidamente, infilandosi la solita giacca bianca "allora... qual'è il problema?"
"Beh, non ci sono clienti!"
"E vorrei ben dire!" esclama mentre si guarda attorno "Quest'arredamento è raccapricciante!" fa una smorfia di disgusto mentre prende i piatti decorati appesi alle pareti.
"Si beh... l'arredamento in effetti è un po'... vecchio..."
"VECCHIO??? Persino mia nonna lo troverebbe vecchio.... ED E' MORTA!!!!" così dicendo rimette il piatto dove lo ha preso.

"Almeno la cucina com'è?"
"Uhm... dire... OTTIMA!" menti sapendo di mentire.
"Perfetto! Non vedo l'ora di assaggiare qualcosa!" che tradotto significa "Adesso sono cazzi tuoi!"

Lo Chef Incazzoso è noto per avere un'autentico campionario di insulti e sbeffeggiamenti per ogni tipo di schifezze pietanze che gli vengono offerte. E' talmente originale che circola la leggenda che alcuni grandi chef cucinino porcherie di proposito per ascoltare che diavolo possa inventarsi.
Oltre ai più banali "che schifo""sembra merda""sembra vomito", egli ci delizia con metafore ricercate che ben sanno rendere l'idea di quello che sta assaggiando come "sembra un pannolino sporco" oppure, di fronte un pizza con Nutella, pensare che "è finita la carta igienica, e qualcuno si è pulito il sedere con la mia pizza!"

Memore di questi risultati, decidi di raccomandarti con il tuo capocuoco.
"Oh... vedi che la c'è lo Chef Incazzoso... vedi di non farlo incazzare!" (appunto)
"See, vabbè... ma tanto sta roba che famo da magnà è bbona!" dice mentre si scaccola.
"Che Dio ci aiuti..." no, non è una suora a dirlo.

Di fronte alle pietanze, lo Chef Incazzoso adotta un metodo scientifico ancora avvolto nel mistero: viviseziona (letteralmente) il cibo che ha di fronte scomponendolo in più parti. Fruga negli spaghetti alla carbonara dapprima con gli strumenti (forchetta e coltello).
"Per la miseria, ma quante uova ci sono qua dentro?" lo senti dal retro del bancone, distante almeno quindici metri.

Non ritenendo sufficiente il suo esame, infila due dita all'interno del groviglio di maccheroni, estraendo un dadino di pancetta. Lo osserva e lo ciancica sotto ai denti.
"Mmmm... è molliccio, ed anche un po' gommoso... è sicuramente congelato."
Dopo averlo fatto cadere con disgusto sul piatto chiama il cameriere "Ehi tu! Si, tu, proprio tu! Vieni un po' qua..."
Il cameriere trema di paura mentre si avvicina.
"Dimmi un po'.... questa pancetta... è FRESCA o CONGELATA?"
Gli altri camerieri e tu stesso assistete alla scena drammatica. Il tuo caposala sta pregando con un rosario in mano. Che cosa risponderà ora il poveretto?
"I-io.... n-n-non lo so..."
"Potresti andare ad informarti, PER CORTESIA?"
Il povero cameriere si allontana goffamente e si dirige in cucina dove il capocuoco non sembra farsi tanti problemi.
"Ahò, ma chennesò, me pare ch'era congialata, ma te dije ch'è fresca sennò rompe er cazzo!"

Il cameriere torna al cospetto dello Chef Incazzoso che ne nel frattempo è in piedi a braccia incrociate.
"L-lo chef dice... che è f-fresca!"
"CHECCOSAAAAA!!!!" l'impeto d'ira dello Chef è inarrestabile e deve rovesciare almeno 18 tavoli per calmarsi. Siccome il ristorante ne conta solo 16, ha bisogno di rovesciare anche il banco del bar e di defenestrare un cameriere a caso.
"SE QUESTA FOTTUTA PANCETTA E' FRESCA IO SONO MICKEY FOTTUTO MOUSE!!! VOGLIO PARLARE IMMEDIATAMENTE COL FOTTUTO CAPOCUOCO!"

Una volta fatta irruzione in cucina lo Chef Incazzoso non ha dubbi: gli basta udire "Ahò, ma vvole questo?" per decidere che il capocuoco deve essere eliminato.
"ALLORA CE L'AVETE LA PANCETTA! QUESTA E' FRESCA DI GIORNATA!!!"
Dopo neanche 30 secondi del povero capocuoco non è rimasta che una dadolata di carne e grasso.
"D'ora in poi solo ingredienti FRESCHISSIMI!" e aguzza l'occhio su un cameriere piuttosto robusto.

Dopo una settimana, tra eliminazione di personale incompetente, pulizie approfondite di un locale lercio di decenni, smaltimento di ingredienti diventati ormai scorie tossiche radioattive e soprattutto del tuo lavaggio del cervello, povero proprietario ormai in balia degli eventi, lo Chef Incazzoso emette soddisfatto la sua sentenza finale.

L'unico modo per salvare il ristorante è dargli fuoco!

E di fronte al gigantesco falò purificatore, di fronte al quale lo Chef si esibisce in una strana danza propiziatoria, tu assisti con serena tranquillità, pensando che alla fine facendolo apparire come incidente potresti rimetterci meno di quanto pensavi. Non fai caso alle lacrime che ti rigano le guance.

"Ma era il mio sogno..." sibila la tua coscienza con alito di vita. Ma ci pensa lo Chef Incazzoso ad ucciderla definitivamente colpendoti con forza ed esclamando:
"BASTA CAZZATE!"


Il Fotografo Cazzone

Una mattina ti svegli e ti accorgi di avere un'idea. Una di quelle virali, potenti, che non fai in tempo a filtrare col raziocinio che già hanno messo radici.

Maledici quel giorno addietro in cui, aprendo l'armadio per prendere una cosa che neanche ricordi che fosse, ti è caduto l'occhio sulla borsa grigia che custodisce un costoso cimelio: la tua macchina fotografica.
Un colosso comprato quando avevi più soldi, e che hai usato poche volte proprio perchè pesa un quintale.

Il senso di colpa è rimasto in agguato per mesi, ormai anni... ed ora ha deciso di coglierti di sorpresa per metterti in testa l'idea di "uscire a fare un po' di foto". Il tuo inconscio t'ha fregato, ed ora devi trovare il sistema di soddisfarlo.

Siccome l'ultima volta che sei uscito per conto tuo ti sei rotto le scatole (e ti sei sentito un po' coglione), decidi di chiamare l'amico che condivide la tua stessa maledizione passione.

Quando vi ritrovate all'appuntamento si avvicina e ti dice quasi con l'imbarazzo di chi ha fatto cadere un vaso di porcellana:
"Ho portato un amico..." 
"Un... amicO?" sottolinei quella vocale finale un po' perchè speravi che fosse diversa, un po' perchè avresti voluto passare il pomeriggio in "intimità".
"Si, lo conosci. E' fotografo anche lui."

E da lontano lo vedi arrivare.
Procede a passo lungo e spavaldo, con un sorrisetto ebete guardandosi attorno come se cercasse qualche ammiratore nella strada deserta. Attorno a lui una borsa disumana, che gli accentua l'andatura ondeggiante, e quando si avvicina, vedendo che il suo viso sta cambiando colore, capisci che è anche incredibilmente pesante.

Il Fotografo Cazzone lo riconosci immediatamente da come ti guarda, come se ti dicesse "io ce l'ho più grosso del tuo" ed ovviamente non sta parlando del birillino che ha in mezzo alle gambe. Per lui essere dotato vuol dire avere ottiche stabilizzate, lenti apocromatiche e filtri polarizzati che rendono la sua attrezzatura assolutamente performante e inarrivabile.
Ogni volta che estrae un nuovo componente dalla sua borsa non resiste alla tentazione di mostrartelo, quasi vorrebbe passartelo sotto al naso, per farti sentire il profumo che emana.
Si diverte ad accarezzare gli zoom per poi provocargli voluminose erezioni. Non ti sorprenderesti nel vederlo leccare i propri strumenti per eccitarsi.

Il problema del Fotografo Cazzone, contrariamente a quanto si pensi, non è l'abilità fotografica.
Infatti è anche preparato in materia, ed è anche capace di fare buone fotografie. Ma come ogni buon maschietto si rincoglionisce di fronte ad una passera, egli non si controlla nel momento in cui può far brillare il proprio ego, e commette errori da principiante.

Comprato un rullino economico di una marca sconosciuta, lo inserisce nel corpo ostentando sicurezza e rapidità, e senza essersi accertato del corretto posizionamento dei dentini nella perforazione, esegue... Uno? No... Due? Macchè... Ben TRE scatti al buio per star tranquillo che non venga un fotogramma tagliato a metà.
Certo, sia mai che ti capitasse una foto mezza bruciata in un rullino fatto di merda.

Ci si dirige in un posticino per eseguire qualche scatto, una collinetta che si affaccia su una suggestiva panoramica della città, e il Fotografo Cazzone prepara il suo show migliore.

Il Sole è da poco tramontato, quindi c'è poca luce per una ripresa a mano libera... ma se si è dotati di cavalletto, di luce ce n'è eccome!
Ovviamente egli si è portato non solo il cavalletto, ma anche l'interruttore flessibile, perchè ricordatevi che lo scopo non è fare buone foto, ma essere figo. E dato che fa figo mostrare un obiettivo bello grosso, montiamo su un tele, anche se stiamo immortalando un paesaggio.
"Adesso mi faccio tutto il tramonto!" certo, col Sole ormai bello che sceso alle tue spalle ed una ripresa ravvicinata su quattro case che sembri un paparazzo di una rivista da parrucchiere.

Seleziona la posa B (se non la conoscete, è la modalità in cui si trattiene l'otturatore aperto per quanto tempo volete), si accende una sigaretta e assume una posizione pseudo-figa, gambe leggermente divaricate e mano in tasca, da buon Cazzone.

Quindi preme l'interruttore del flessibile.
Passa qualche secondo, da una sbirciata fugace all'orologio, aspira una boccata dalla sua "siga" e ne fa uscire il fumo senza curarsi se passa di fronte all'obiettivo. Darà quel retrogusto di affumicato all'istantanea.
Infine rilascia l'interruttore.
"Quanto tempo gli hai dato?" chiedi.
"20-30 secondi..." con quella smorfia di noncuranza, perchè lui è figo, lui SA, lui DOMINA IL TEMPO.

Lo guardi con tenerezza, perchè tu SAI quello che è accaduto.
Sai che, secondo la Regola del 16 (regola fotografica in cui, considerando un tempo quello più vicino alla sensibilità ASA della pellicola, si utilizza l'apertura di diaframma f16 con Sole alto e cielo sereno), in una situazione del genere sarebbe stato sufficiente mantenere il tempo suggerito dalla sensibilità e aprire il diaframma a f4 per avere un'esposizione corretta.
E se proprio avessi avuto il dubbio ti sarebbe bastato allungare il tempo di esposizione, passando, per dire, da 1/250 a 1/125.
Oppure, se volevi tenere un diaframma chiuso, potevi calcolare l'accoppiamento ed arrivare a 1/30 o 1/15 e usare comunque un cavalletto.

Quell'altro, per fare il figo, ha tenuto aperto il pozzo per 20-30 secondi. Che vuoi che sia uno scarto di appena 10 secondi?

Il bello è che il Fotografo Cazzone si chiama Cazzone e non Stupido, e quindi lui sa benissimo di aver fatto una minchiata. Era tutto secondo i piani, non avrebbe certamente sprecato una buon negativo o diapositiva. E sapendolo, chiuderà la sua macchina in un cassetto e si dimenticherà di quel rullino da quattro soldi, non ci spenderà neanche i soldi per svilupparlo.
Il suo unico scopo è stato quello di pavoneggiarsi della propria attrezzatura con chi ha una misera reflex tutta manuale con un unica ottica, ma che nella sua semplicità sa essere dignitosa.

Il mondo è pieno di Cazzoni purtroppo, e l'errore più grosso è quello di affrontarli di petto, perchè ci si rode il fegato e non si risolve nulla.
L'unica cosa saggia da fare è non interferire, aspettare che siano loro stessi a mostrare la propria mediocrità. Anche il Cazzone migliore non dura in eterno: può essere ammirato per qualche settimana, per qualche mese... forse anche per qualche anno, ma alla fine le cose vengono fuori e la sua importanza si scioglie come neve al Sole.

Guardiamoli con compassione, perchè se uno è convinto che per essere ammirato dagli altri deve fare il Cazzone, è come essere convinti che palpare il sedere ad una ragazza che non conosci sia un gesto di galanteria.


Eppure sembravano una così bella coppia...

Li conosci in un'occasione di ritrovo, magari ad una cena, o più semplicemente durante una passeggiata. Sono "amici degli amici" e li vedi e pensi: "Accidenti che bella coppia!".

Lui, gran lavoratore, ma ottimo stipendio. Lei arrotonda con un lavoro part-time.
Ma diciamo che godono di una certa tranquillità economica, altrimenti non avrebbero deciso di acquistare una villa con giardino poco fuori città.
Sono simpatici e, soprattutto, non se la tirano. Sono due brave persone che hanno faticato e che hanno ottenuto dalla vita quello che si meritavano, magari con l'aiuto di un pizzico di fortuna, che non guasta mai.

Chi di voi non ha mai conosciuto la classica "bella coppia"?
Due persone che ti comunicano già da lontano il feeling e l'affiatamento che hanno, che sanno mostrarsi vicini, ma senza esagerare, che in pubblico sanno scambiarsi qualche parola gentile ma senza mai arrivare al pucci-pucci-mao-mao che non sempre è ben gradito.

E' quasi automatico provare una piccola invidia, ti auguri che capiti anche a te una storia del genere.
Inizi a credere davvero al mito del Simposio di Platone, quella metà che cerchiamo da quando Zeus ci separò, quando hai davanti agli occhi qualcuno che l'ha trovata.

Poi senti al telegiornale che quella coppia è stata ritrovata senza vita in casa: lui uccide lei, e poi si toglie la vita. A scoprirli un parente o una persona a loro vicina.

Tentate per un momento di immedesimarvi in quella sfortunata persona: l'orrore e l'incredulità, di fronte una scena che mai ti saresti aspettato. Qualcosa che il tuo cervello rifiuta di credere, non lasciandoti neanche il tempo di starci male.
Ma passano appena pochi secondi per realizzare che qualcosa che pensavi fosse indistruttibile ti è appena caduto in mille pezzi e non c'è modo di ripararlo.

Lo sgomento si diffonde anche nel resto del vicinato, nel quartiere, in tutta la città.
"Non riesco proprio a capire, erano una così bella coppia...."
Sarebbe questo il commento di ognuna delle persone che li conoscevano, come potrebbe essere il tuo, che li hai conosciuti, seppure superficialmente, ma che non ti hanno dato modo alcuno di pensare che potesse accadere una cosa simile.
Vieni a sapere che si, qualche problema c'era, ma quali sono le coppie che non litigano mai? Che non hanno mai un problema? Quante volte un tubetto di dentifricio lasciato aperto o una tazza sporca di caffelatte non risciacquato assumono gravità maggiori di una lettera di Equitalia?
Scopri che i problemi andavano al di là dei litigi quotidiani: c'era una crisi grave, un amore ormai finito, l'ombra di un tradimento.

Si scioglie come neve al sole il tuo concetto di "anima gemella", ma sotto di esso spunta una nuova convinzione: che non esistono coppie perfette.

Tutti abbiamo bisogno di credere in qualcosa. In una religione, nell'oroscopo, negli alieni.
Per qualche curioso scherzo di Madre Natura, siamo intrinsecamente convinti che esista un qualcosa che regoli la nostra esistenza.
Leggiamo l'oroscopo perché siamo in qualche modo convinti di poter controllare il nostro futuro, e quindi il nostro destino. E ne siamo talmente tanto convinti, che se qualcosa va diversamente rimaniamo interdetti, quasi sorpresi che le cose possano semplicemente capitare per caso.

In realtà, proprio rimanendo in tema di astri, ho maturato la convinzione che siamo ben piccola cosa a confronto delle Stelle proprio durante la congiunzione tra Marte e Giove, momento in cui i due distantissimi pianeti si sono trovati "vicini" per un effetto prospettico.
Approfittando dell'evento, ho rispolverato il mio modesto telescopio e sono riuscito ad osservare proprio il lontanissimo pianetone, riconoscendone le tipiche "striature" e i satelliti.
Un pianeta che porta il nome di una divinità (guardacaso Zeus, quasi in tema con l'argomento) ma che è semplicemente un corpo celeste che si fa gli affari suoi, compiendo i suoi movimenti orbitali imposti dalle leggi della fisica, incurante del proprio influsso sulle nostre vite.

E quindi? La scoperta che non facciamo parte di un piano ordinatamente architettato può in qualche modo renderci più tristi? Sapere che la metà che cerchi in realtà non esiste rende le nostre vite povere e prive di senso?

Al contrario: liberarsi di queste predestinazioni ci rende molto più liberi di vivere con tranquillità, di essere al pieno controllo delle nostre azioni, e di vivere l'amore non come una ricerca ossessiva verso l'altra metà che hai perso e che devi ritrovare.
Innamorarsi vuol dire essere "catturati" da una persona che ci ha incuriositi, e l'intenzione di costruire una vita al suo fianco deve nascere semplicemente dal desiderio di starle vicino. Non vuol dire riprendere qualcosa che si è perso nella notte dei tempi, ma guadagnare qualcosa in una vita che era già completa.

Un litigio, una diversità di vedute, una momentanea "incompatibilità", non sarà necessariamente sintomo di un'amore finito. Ma non per questo i sentimenti rimangono sempre tali e non è tirando in ballo "il destino che ci ha uniti (o il delfino, vedete voi)" che possiamo essere sicuri di un investimento a lunga scadenza.

Mi rendo conto che lo spunto iniziale per questa riflessione è decisamente forte.
Ma era il mio modo per dire che le cose non sono mai come sembrano, anzi, a volte sono proprio le facciate più belle a nascondere le crepe più profonde.
Dal canto nostro, possiamo solo assumere un atteggiamento più distaccato e non cedere in facili ed inutili invidie. Godiamoci la nostra piccola vita per quello che è, fatta di piccoli desideri e di piccoli ostacoli.

Avremo piccole gioie... ma saranno pur sempre gioie.


Pescegatto

Un giorno come un altro.
Cazzeggi su una chat su internet, leggendo distrattamente i messaggi nella "stanza" e ti annoiano tutti. Così decidi di scorrere la lista dei membri che la popolano e di contattarne qualcuno con un messaggio privato.
Così, "tanto per".
E "tanto per" la persona dall'altra parte decide di risponderti e iniziate chattare, parlando di quanto è noiosa questa chat. Dopo esservi sincerati a vicenda di pensarla alla stessa maniera, decidi di chiedere qualcosa di più personale. L'altra persona fa altrettanto.

Trovi questa conversazione particolarmente piacevole, e quando ti chiede un contatto un po' più "consistente" dai l'indirizzo di Facebook. Bastano pochi secondi per veder arrivare una richiesta di amicizia dal tuo interlocutore, e così "vi spostate" in luogo più adatto alla chiacchiera privata.
Un po' quello che succederebbe nella vita di tutti i giorni, quando incontri una persona in un pub o in una discoteca, senti che ci può essere qualcosa di interessante da dirsi e decidi di farlo in un luogo più appartato, al riparo dalla confusione.

Passano i giorni, che diventano settimane. Quindi mesi.
Dal primo giorno che hai conosciuto questa persona senti che sta diventando importante, che vorresti condividere più cose. Non ti bastano più le quattro fotografie che ti ha inviato, così chiedi di poter videochattare su Skype.
"Non ho Skype, e poi la mia linea internet va di merda." ti dice, e tu non hai motivo per pensare che possa mentire. Del resto sai bene che non tutti hanno una linea sufficientemente stabile e veloce.

Però d'un tratto ti si insinua il dubbio: e se la persona che hai di fronte non fosse quella che dice di essere? E se in tutto questo tempo avessi parlato con qualcuno dall'aspetto completamente diverso? Persino di un sesso differente?
Chiedi così di potervi sentire almeno al telefono, "perchè ho voglia di sapere com'è la tua voce" dici quasi per giustificarti.
"Adesso non posso" ti dice. Ma non ti dice neanche quando potresti.
"Ora devo andare" e ti saluta frettolosamente in chat.

Da questo punto in poi, la nostra storia potrebbe continuare con una richiesta di aiuto. Una richiesta rivolta a degli investigatori un po' fuori dal comune, che in questi anni stanno conducendo un programma su Mtv a mio avviso tra i più interessanti ed efficaci nel momento.

Si chiama Catfish.
In gergo, si tratta di una persona che assume un'identità alternativa nei social network. Parola che ha anche dato nome al programma televisivo, come credo abbiate già capito.

Nev e Max ascoltano storie non molto diverse da quelle che vi ho appena descritto, in cui una persona intraprende una relazione (o più semplicemente un'amicizia speciale) con qualcuno che teme non sia chi dice di essere.

Catfish è fenomenale dal punto di vista del coinvolgimento: un tema molto attuale e che potrebbe potenzialmente capitare a chiunque abbia un contatto di qualsiasi tipo su un social network. Una trasmissione capace di mettere a nudo tutte le debolezze di un'intera generazione di ragazzi.

Nel guardare le puntate della serie, si sono visti casi più strani e disparati (nonchè disperati): dalla ragazza che si finge modella magrissima ma che in realtà pesa 3 volte tanto, all'illuminato che pretende di "smascherare" gli uomini traditori impersonando belle gnocche, a ragazze che si fingono ragazzi per adescare potenziali concorrenti di una fiamma comune. O ancora chi si finge un altro per "finire in TV".
Ma i migliori sono gli omosessuali che si fingono etero del sesso opposto per incontrare, appunto chi desidera davvero. Vorrei chiedere loro solo una cosa: "ma non ti sei mai chiesto come potesse andare a finire questa storia?"

Di fronte ad una puntata qualsiasi di Catfish chiunque penserebbe "ma come ti viene in mente di comportarti in questo modo, di NON DIRE questo, NON DIRE quello..." è un classico, è una reazione talmente frequente che sembra studiata a tavolino dagli autori.
"No, ma... il mio aspetto, il mio lavoro, la mia vita... solo quelle erano bugie. I miei sentimenti in realtà ERANO VERI!" commovente, davvero. Come se ammettere, presi con le spalle al muro, di aver detto alcune bugie rivela automaticamente che altre informazioni erano vere.

Ma la scoperta del falso non è la conclusione della vicenda. E' l'inizio.

La menzogna è un punto di partenza per scavare verso i motivi che l'hanno scatenata, e vengono fuori struggenti e drammatiche insicurezze. Storie di ragazzi obesi che odiano il proprio corpo, omosessuali cresciuti con la vergogna di essere "sbagliati" per le proprie famiglie.
Storie di chi, per combattere la propria insicurezza, ha finito per costruircisi una muraglia per separarsi ancora di più dal mondo esterno, così doloroso e spietato.

Purtroppo la morale di tutto è che la paura di essere accettati provoca non solo danni a noi stessi, ma anche alle persone che abbiamo intorno, e l'unica conclusione a questa storia è sempre qualcosa di amaro.

Il protagonista (o la protagonista) della nostra storia potrebbe semplicemente essere caduto vittima dello scherzo un po' pesante di un burlone, oppure aver incontrato una persona che non accetta il proprio aspetto.
La conclusione di questa storia potreste averlo scritto voi stessi qualche tempo fa o state per farlo.

E voi che finale avete vissuto?


Pensiero Traverso

Una partita di calcio, una di quelle che vi interessano.
Magari non siete tifosi, ma quella partita dell'Italia ai mondiali vi gusta guardarvela.
Dieci, ma anche venti minuti dalla fine, risultato fermo sul pareggio. L'arbitro fischia un fallaccio qualche metro fuori dell'area di rigore, distanza perfetta per una punizione davvero “punitiva”.

Qualche lunghissimo attimo per sistemare la barriera, tanto che la regia coglie l'occasione di effettuare una ripresa alla "Sergio Leone" del viso sudato del giocatore che si appresta a battere: sguardo penetrante, carico di concentrazione, con quegli occhi sembra voler dire:
“Mo vojo vedé se c'arriva.” (magari è originario di Roma, vallo a sapere).

Parte il tiro: una sciabolata potente alta tanto da superare la fila di omini che saltano inutilmente, ma bassa a sufficienza per dirigersi paurosamente verso il bersaglio retato.
Il portiere salta un attimo in ritardo e non ci arriva e la palla

BOOOOOOOOM! TRAVERSA!

“Che cazzo di sfiga!” grida la panchina del giocatore.
“Ammazza che culo!” grida la panchina del portiere. Si, anche loro conoscono l'italiano.

Poi la partita va avanti e finirà in qualche modo, ma non è importante.
Tutti noi abbiamo visto la faccia di quel giocatore che ha stampato la sfera sulla traversa che ancora vibra e se potesse direbbe “ohiohiohi....”. Quell'espressione di delusione e di amara consapevolezza: sei stato così bravo a guidare quella palla fino alla porta, neanche fosse telecomandata, ma per un'impercettibile errore è finita non NELLA porta ma SULLA porta.

Immaginatevi a raccontarlo:

“Hai fatto goal?”
“No.”
“Allora è uscita fuori?”
“Nemmeno...”
“Ma allora....”
“TRAVERSA”
Poco da aggiungere direi.

Se dovessimo fare un calcolo matematico, che percentuale di superficie coprirebbe l'area coperta dalla traversa della porta? O dai pali, il concetto è quello.
Colpire il palo o la traversa nel calcio fa più o meno lo stesso effetto del 6 – o del 5 ½ a scuola. Solo che mentre a scuola c'è una colpevole maestra che traumatizzerà l'alunno a vita, nello sport questa cosa ha come unico responsabile il Grande Architetto.
O per i più terra-terra, la Sfiga.

Diciamo la verità: non pensate anche voi che ci voglia quasi più bravura a centrare un bersaglio di una decina di centimetri che uno di 5 metri? Eppure la traversa (o il palo) non ha valore, è quella “terra di nessuno” che a volte ti protegge, ma a volte ti fa un dispetto, perchè potrebbe restituire al campo la palla in una zona imprevedibile, e trasformare una dubbia occasione mancata in un goal certo.

E' quasi una metafora della vita di tutti i giorni, un po' come sei in coda alla cassa di un supermercato e questa chiude proprio quando è il tuo turno. Come quando al bar è rimasto l'ultimo cornetto integrale al miele che ti piace tanto, e te lo frega il cliente subito prima di te.

E' come quando lavori tanto dando tutto te stesso, e non vieni pagato.
Come dite? E' un esempio un po' forzato? Sticazzi, mi ci rode il culo uguale!

Per me non sarebbe affatto fuori luogo in alcune circostanze dire “ho preso una traversa”, da non confondere con “preso una tranvata”, quella è un'altra cosa.
Voglio credere che ci siano situazioni in cui abbiamo fatto tutto il possibile, ci siamo impegnati al massimo delle nostre capacità, ma che per alcuni nostri limiti (non tiriamo troppe volte in ballo la jella) non siamo riusciti a buttare la palla nel sacco.

Però ci siamo andati vicini, e che questo non-risultato ha un valore e può essere lo spunto di riflessione e la consapevolezza che c'è qualcosa da migliorare, ma che si tratta di uno sforzo tutto sommato piccolo.

In fin dei conti, che cosa dovrebbe dire quello che la butta sempre in fallo laterale?



Offline

Te ne stai di fronte al pc, il volto privo di qualunque espressione.
Quasi senza interesse passi tra Facebook, Twitter, Google Plus leggendo i vari stati e guardando le foto dei tuoi “amici” e difficilmente pensi qualcosa di diverso da “ma a me che ciuffolo me ne frega...”.
Eppure internet ti cattura, non riesci a smettere di starci. “Una tira l'altra” si dice a proposito delle ciliegie (ad esempio) ma mentre i piccoli frutti sono deliziosi ed assai ambiti (con quello che costano), il panorama internettiano è più simile a una serie di bocconi insapori, quasi sgradevoli. Ma senza capirne il motivo, non riesci a smettere di portarli alla bocca, quasi fosse il gesto la cosa importante, e non il contenuto.

Poi, d'un tratto, mentre stai vedendo un video su Youtube che ti insegna come ricaricare un cellulare con una cipolla lasciata a macerare nel Gatorade, noti che il video non si carica.
Aspetti un po', non vuoi essere troppo frettoloso. Ma ti bastano pochi secondi per stancarti e premere la combinazione “CTRL + R” per fare un refresh della pagina.
E ti appare la scritta che ti gela il sangue: “La connessione ad internet non è disponibile”.

Ruoti rapidamente la testa verso il router, individuando le lucine che dovrebbero essere tutte verdi e lampeggianti. Temi infatti di trovarne una rossa fissa, che è “il male” per il tuo cazzeggio quotidiano. Invece il Destino ti ha riservato un trattamento ben peggiore.
Le luci di connessione SONO SPENTE.
Panico.
Provi a riavviare il dispositivo, ma una volta acceso quelle lucine rimangono ancora spente. La pagina di gestione del router sentenzia in modo inequivocabile “nessuna connessione”.

“Un guasto” pensi dentro di te “mannaggia alla maiala, un fottuto guasto!”
Rassegnato, alzi la cornetta del telefono per contattare l'assistenza, e capisci che la sfiga ha voluto completare l'opera: il ricevitore è completamente muto.

Vai alla ricerca del telefonino per comporre il numero del servizio clienti, mentre inizi ad avvertire i primi sintomi di astinenza (accelerati dalla scoperta di un problema più grave): sudore freddo associato a tremore, leggero capogiro e abbassamento di pressione.

Ed ancora non hai realizzato che nelle prossime ore potrebbe uscire il trailer del Kolossal “Heidi contro Mazinga contro Batman” che non vedi l'ora di vedere, pur sapendo che dopo aver orgasmato abbondantemente sulla tastiera, andrai dai tuoi amici a dire con aria di sufficienza “ma è nammerda, si sa che è la solita boiata per far soldi, povera di contenuti e di originalità”.

Digiti il numero a tre cifre dell'assistenza, e dall'altro capo ti risponde la voce registrata che ti guida nella scelta numerica per arrivare a parlare con l'operatore.
Dopo aver digitato solamente la metà dei numeri civici della tua città, assieme al tuo codice fiscale, riesci infine ad udire una voce “umana”, con l'inconveniente che si sente pianissimo, a scatti e piena di rumori di sottofondo. A stento riesci a capire la ragazza che dice:
“Salve so... ..ana... ome.... servizio clienti... li morta... ua ...aiuto” ma riesci tuttavia a sentire perfettamente il collega che suggerisce una variante degli spaghetti alla carbonara fatta coi wurstel.
“Salve signorina, la chiamo perchè non ho linea, non riesco ne a chiamare ne a navigare in internet.”
E lei: “Non chiama ne riceve?”
“No.”
“Non naviga in internet?”
“No, gliel'ho detto.”
“Ha provato a spegnere il router?”
“Si.”
“Lo ha in seguito riacceso?”
“Ma che... certo che si!”
“Va bene signore, lasci che faccio una prova io. Rimanga in linea.”

E ti mette in attesa, infilandoti a tutto volume quella canzone che se non stai già odiando, di certo lo farai, perché ti aspetta un ora e mezzo di ritornello, tra l'altro appiccicato pure male nel creare il loop.
“Eccomi signore, la ringrazio per l'attesa.”
“Era ora, cazzo!”
“Come scusi?”
“Ehm... volevo dire grazie mille!”
“Uhm... ok... comunque devo informarla che la linea funziona perfettamente, non sono riscontrati guasti, il segnale è forte e chiaro e arriva a casa sua.”
“Ma allora?”
“Allora devo aprirle una segnalazione. E vedrà che entro breve arriverà un tec... i... ...ulo.”
Chiudi il telefono e se da una parte il tuo sciocco lato ottimista spera che entro un paio d'ore arriverà l'omino del telefono, sai già che probabilmente potrebbe volerci più tempo del previsto.

Ma i tuoi sintomi da astinenza si fanno più prepotenti, ed inizi la fase del “delirio da intenzione”. Cominci a dire frasi tipo:
“Proprio oggi che volevo giocare online...” e non accendevi la console da due settimane.
“Proprio oggi che volevo rivedere il mio profilo su deviantART...” che non effettui il login da quattro mesi.
“Proprio oggi che.... ho voglia di restare a casa!” e potresti almeno oggi alzare il culo dalla poltrona e uscire a prendere un po' d'aria!

I tuoi amici non ti aiutano, iniettandoti la “sindrome dell'ultimo giorno del Mondo”.
“Mamma mia, solo per oggi, su dacciituoisoldionline.com c'è l'intera saga di Guerre Stellari a 4 euro!”
“Solo oggi regalano il gioco Pippo e Pluto Forever!”
“E' uscito in anteprima il trailer del nuovo film di Arnold Stallone! Vedilo prima che lo tolgano!”
Raggiungi la fase acuta quando ti sdrai sul letto ripetendoti il mantra “internet non esiste” all'infinito.

Ma evidentemente lassù qualcuno non ti ha completamente dimenticato, e senti suonare la porta. E' il tuo amico Ginopino Taldeitali, che dopo averti guardato perplesso ti fa:
“Ma che faccia che hai, ma che ti è successo?”
“Non puoi capire...” mentre inghiotti quattro confetti di liquirizia come se fossero le tue ultime medicine.
“Beh, mi spiace che non stai bene... sono passato perché pensavo di chiederti se ti andava di fare una passeggiata.”
“Dove?”
“C'è una collina qua vicino, c'è un parco e la possibilità di fare una piccola escursione. Si mangia una cosa al volo per pranzo e poi si torna a casa. Così per qualche ora si fa qualcosa di diverso, senza arrivare chissà dove. Ma se non te la senti....”
“No no, certo che me la sento. Qua mi sto annoiando a bestia.”

E fu così che hai fatto una passeggiata, ti sei distratto per un po' e ti sei pure divertito. Hai capito che l'unico motivo per cui guardavi cose noiose era per trovarne qualcuna di interessante, ma che non sempre l'attesa viene premiata.
Nel frattempo è anche arrivato il tecnico che in tempi umani ti ha sistemato il guasto, e puoi finalmente tornare a navigare.
Per poi scoprire che, alla fine, non ti sei perso chissà cosa.


La gente perbene

Se non avessi mai preso un treno in vita e mi dicessero che Roma Termini è una stazione ferroviaria stenterei a crederlo.
Guardandola dall'esterno sembra quasi un centro commerciale piazzato proprio in mezzo alla Capitale, e il dubbio si esaurirebbe una volta varcato l'ingresso principale o imboccando la galleria ai lati: questo E' un centro commerciale. La quantità di negozi di marche prestigiose, bar, ristoranti e tavole calde rendono questo luogo un perfetta destinazione anche per chi non ha intenzione di viaggiare.

Daltronde, perchè mai un turista di passaggio dovrebbe fermarsi in un negozio di ottica? Per come la vedo io, dovrei essere un romano per decidere di farmi confezionare un paio di occhiali in quel negozio.

Ma comunque... a suo modo Roma Termini è una bella meta da visitare, nel suo essere caotica ma anche piena di vita e di facce sempre diverse.
Salendo nel piano superiore si possono visitare l'ennesimo negozio di telefonia, un bar... ed il ristorante che ti fa Ciao! con la manina appena lo vedi, un self service che mi ricorda la Festa de l'Unità. Fu proprio li che scoprii l'esistenza di posti in cui ti prendevi il tuo bel vassoietto e te lo riempivi di piatti sperando di calcolare bene gli spazi.

Nella cornice dell'avveniristica stazione, con “vista viaggiatori” proprio sotto di me in coda nelle biglietterie, durante questo pranzo che nella mia mente unisce passato e futuro, qualche schiamazzo attira la mia attenzione.
All'inizio pensavo qualcosa di normale. Voglio dire, in un luogo tanto affollato, vuoi che non ci sia qualcuno che alza un po' più la voce? Invece non è così “normale”: nel piano di sotto, un piccolo gruppetto di addetti alla sicurezza stanno parlando con un altro gruppetto di ragazze.

Assistendo alla scena (complici anche le persone vicine a me che iniziavano ad affacciarsi per capire che stava accadendo) capisco che le ragazze sono rom.
Mi auguro che sia una cosa breve, la classica sfuriata da due minuti.
Ma invece no, si continua.
La situazione diventa poi preoccupante quando al gruppetto, inizialmente quattro o cinque (più o meno in misura delle guardie, vorrei sottolinearlo) se ne aggiungono altre, attirate probabilmente dalla lite a voce molto alta. Un "richiamo" che non si può ignorare.

Nel giro di neanche un minuto, diventano una ventina, e continuano ad arrivare. Da questo momento, caos totale, perchè sopraggiungono carabinieri e polizia, e poi gli “uomini” della fazione rom, che sembrano non metterci molto a voler buttare la cosa in rissa.
“Cosa” che tra l'altro non si è ancora capita.
Un ragazzino è seduto su una vettura dei carabinieri con il viso sofferente, non si capisce se è li perchè voglio arrestarlo o perchè non si sente bene. Qualcuno lo prende in braccio e lo porta via, un altro urla di rabbia e si scaglia contro una guardia (quasi come lo ritenesse responsabile di un qualche malore di questo ragazzino).
Dopo un po' questi corrono fuori tutti, e dietro la polizia che evidentemente non ha mangiato la foglia ed ha capito il "diversivo".

Insomma nessuno ci ha capito niente, facciamo solo ipotesi su cosa possa essere accaduto.
L'unica cosa sicura è che siamo tutti un po' scossi.

Alle mie spalle una signora farfuglia: “Eh, certo, con tutti questi immigrati...”

Benchè sia consapevole dell'emergenza umanitaria che stiamo attraversando ultimamente, a queste parole mi è venuto spontaneo pensare: “Ma che cosa c'entrano gli immigrati?”

Le persone che hanno creato tensioni sono le stesse che si appostano alle biglietterie automatiche e pretendono di aiutarti in cambio di qualche moneta. Occupano zone talmente ben assegnate che se uno si sposta e invade uno spazio non suo scatta la lite pesante.
Fanno parte quindi di un tipo di sistema ben radicato che è da anni presente a Roma.

Ma che relazione c'è con gli immigrati che in questi mesi arrivano nelle nostre coste?
O ancora meglio, perchè voler trovare un legame tra due fenomeni così tanto distanti, solo perchè fanno parte di qualcosa che semplicemente non sappiamo?

La frase della signora ha scosso in me la consapevolezza che siamo gravemente disinformati e che stiamo vivendo in un mondo di paura fomentato da persone che farebbero di tutto per aumentare i propri numeri al governo.
Questa cosiddetta "gente perbene" ci sta dividendo facendo leva sull'attuale carenza di lavoro, su una crisi che per gli economisti è ormai alle spalle, ma in realtà voglio vederli a cercare un'occupazione.

Si cerca e si trova un carpo espiatorio, il diverso.
Si risveglia il nostro razzismo sopito, che ci fa retrocedere di centinaio di anni e si ignora quello che potrebbe accedere se i toni non cambiano.
Non abbiamo mai sentito di un gay gonfiato di botte per strada? Perchè non dovremmo sentire anche di un ragazzo di colore (magari pure italiano d'origine) accoltellato da qualche disperato?

Non ci rendiamo conto che è molto facile discriminare una persona o un'intera razza, e ci dimentichiamo che abbiamo bisogno di una tragedia per fermarci a pensare e ripeterci, con un po' di demagogia, che “non si dovrà più ripetere”.
Il modo per non far ripetere determinate tragedie è capire, conoscere, studiare. Bisogna capire chi abbiamo di fronte e le necessità di chi è in difficoltà.
Se dovessimo noi stessi, a seguito di una guerra, trovarci ad essere perseguitati? E dovessimo trovarci nella condizione di lasciare il nostro Paese solo con i vestiti che abbiamo addosso, affrontando un viaggio in condizioni terribili, senza soldi, cibo, acqua?
Ah, certo, il problema forse non si pone... probabilmente moriremmo prima di arrivare da qualunque parte. Come peraltro a molti è successo.
Perdonate l'eccesso di retorica, mi rendo conto che quest'ultima parte è un po' troppo populista.

Ma vorrei ritornare al problema iniziale, mettere nello stesso calderone individui che commettono microcriminalità con gli immigrati: mi sembra un errore clamoroso, una dimostrazione di superficialità imbarazzante, detta con lo stesso tono e noncuranza di "mi sa che domani piove".

Pensate se uno svedese dicesse "tanto gli italiani son tutti mafiosi".
Ci fa incazzare quando lo dicono? Sentiamo il desiderio di correggere questa etichetta e specificare che non è così?
Allora iniziamo noi per primi, e sforziamoci di conoscere meglio determinate situazioni, invece di ascoltare certe stronzate dette da certa televisione.

Compiti per le vacanze

Domenica mattina, TV sintonizzata su Rai Due.
Il malefico elettrodomestico emette un sottofondo continuo ed incessante, in perfetto equilibrio tra compagnia e disturbo. Tra un parlottio ed una canzone riempono il temuto vuoto che causerebbe un silenzio troppo prolungato e imbarazzante.
E dire che trovo i momenti di silenzio molto rilassanti... ma questo è un altro discorso.

Tra questo flusso continuo di suoni, ogni tanto mi capita di recepirne qualcuno che desta la mia attenzione. Delle “parole chiave” che catturano una mente mai completamente distratta. Alzo gli occhi e vedo, nello schermo piatto, la figura austera dell'avvocato Arnoldi, che nella trasmissione “Mattina in Famiglia”, proprio nell'ultima puntata, parla di una cosa diversa.

Per chi, diversamente dal sottoscritto, non segua con grande passione il palinsesto della Rai (si, vabbè...) l'avvocato Roberto Arnoldi cura un breve spazio in cui racconta un procedimento giuridico, lo fa introducendo un problema e di come la legge si regola per risolverlo. A grandi linee, parla sempre più o meno di quello che succede nei banchi di tribunale.

Come dicevo, stavolta invece parla di qualcosa di un po' diverso, sempre a tema sociale, ma più “umano”: parla infatti dei compiti per le vacanze estive, di come i bambini, individui “deboli” della società come lui stesso li definisce, dovrebbero avere il sacrosanto diritto di riposarsi e di godersi le loro ferie, al pari degli adulti, in modo da vivere esperienze nuove e rafforzare i legami sociali con gli altri. E che quindi non dovrebbero avere dei compiti assegnati per le vacanze.
Non solo, rincara la proposta, allargando il “divieto” a tutti i fine settimana nel normale svolgimento dell'anno scolastico.

Finiti i novantadue minuti di applausi (gli stessi che ricevette Fantozzi), realizzo che purtroppo (o per fortuna) il tema dei “compiti per le vacanze” non mi riguarda più... ho da tempo finito di studiare. E non sono nemmeno un insegnante, quindi non ho neppure bisogno di essere sensibilizzato sull'argomento.

Ma le parole dell'avvocato hanno rievocato in me i trascorsi scolastici, in particolare quelli riguardanti la prima media. La ricordo particolarmente bene perchè tra maggio e giugno ricevetti, assegnati dalle varie insegnanti, una vera vagonata di esercizi da risolvere durante i tre mesi successivi.
Credo che le mie care professoresse fossero fermamente convinte che nessuna delle loro colleghe avrebbe dato compiti. Non riesco a spiegarmi in nessun altro modo quella quantità abnorme.

Ricordo quasi con nostalgia (a cui aggiungerei una punta di disappunto) quelli di geografia, che erano una “prosecuzione” di un lavoro già iniziato.
Durante l'anno appena trascorso avremmo dovuto realizzare una scheda per ogni regione d'Italia, una sorta di ricerca che raccogliesse informazioni territoriali e geologiche, accompagnate (come se ciò non bastasse) da una riproduzione dei contorni della regione ottenuti mediante la classica carta trasparente da disegno tecnico.
Ma essendo il tempo un po' breve (appena nove mesi, vogliamo scherzare?) ci limitammo a scegliere una regione tra quelle del nord, una del centro ed una del sud. Le restanti le avremmo dovute fare a casa.
Ci sarebbero stati ben tre mesi, magari ci avanzava tempo per la Corsica e un paio di isolette.

Una doverosa nota: vi state chiedendo se questa roba mi ha insegnato la geografia? Vedetevi una puntata dell'Eredità su Rai Uno, quando chiedono cose relative a città e regioni. Le mie risposte non sono tanto diverse.

Oltre questo, che magari vi sembra tutto sommato poco, aggiungeteci italiano, storia, matematica, scienze e un paio di altre materie che adesso non mi vengono in mente.
Oltre ovviamente agli immancabili libri da leggere durante le vacanze, rigorosamente scelti dalla lista dell'insegnante.
Tassativo leggerne almeno uno. Pareva funzionasse come le stelle degli Hotel, se ne leggevi uno eri scarso, due accettabile, tre bravo, da quattro in su cocco della prof.

La prima cosa che si chiederebbe una persona sana di mente e con un po' di ironia è se questi tre mesi non trascorrano all'interno di una qualche camera dimensionale, di quelle che rallentano il tempi di 5-6 volte. Perchè il problema non è tanto fare tutti sti compiti, ma riuscire a trovare il tempo per andare al mare o quantomeno nella piazzetta sotto casa a fare un giro in bici o giocare a pallone.
In altre parole, godersi l'estate.

Mia madre non ebbe dubbi: i compiti avevano la priorità!
La mia promozione era avvenuta come un gesto di fiducia (e pochi si preoccuparono di comunicare ai miei genitori la cosa in modo quantomeno delicato), e dovevo dimostrare che me la meritavo. Finirli sarebbe stato, oltre che il mio dovere, un modo per iniziare il secondo anno con qualche punto di vantaggio.
Decise quindi di farmi seguire da qualcuno, ed io temevo di finire in pasto a qualche persona anziana barbosa e poco divertente.
Contattò fortunatamente una ragazza giovane... non ricordo quanti anni avesse, ma io ero piccolino e lei una stangona che ancora ricordo come una specie di valkiria.
Molto bella, capelli lunghi e lisci, dai modi molto gentili, per un paio d'ore al giorno mi ospitava a casa e mi seguiva con pazienza.
A ripensarci oggi penso proprio che deve essere stata una vera tortura avere tutte le mattine un marmocchio che le riempiva il tavolo di libri, impedendole di vedere i suoi amici o il suo ragazzo (se lo aveva).

Tutto sommato conservai un bel ricordo di quell'estate, perchè stare con questa ragazza mi piaceva, era simpatica e non mi rimproverava mai. Eppoi in casa sua si stava bene, quando entravo mi accoglieva una leggera penombra, accentuata dai colori scuri del mobilio moderno. Inoltre c'era un bel fresco.
A mia madre disse due cose: la prima è che ero bravo (e mia madre si meravigliò, visto che secondo il grande CORPO DOCENTE avevo tutti i presupposti per essere un rimbambito), la seconda fu che i compiti che mi erano stati assegnati erano tanti, quasi troppi.

Con grande fatica e impegno (fino addirittura il giorno prima di tornare tra i banchi) riuscimmo a terminare i compiti. Forse l'unica cosa che toppai fu la lettura, ma sarebbe stato davvero troppo.

Non immaginate la mia gioia quando stavo per rientrare a scuola con i quaderni belli zeppi, ed ero anche più gongolante sapendo che alcuni compagni non avevano fatto praticamente nulla. Allo stesso modo, non penso di riuscire a descrivervi la mia faccia quando nessuno, ripeto, NESSUN INSEGNANTE controllò anche solo un quaderno.
Mi rimaneva solo la consapevolezza che spaccarmi in quattro, pagare una persona per seguirmi, rinunciare a delle uscite con amichetti non servii praticamente a nulla. O, per essere più precisi, servii a farmi prendere in giro per essere stato il coglione di turno.

Sono passati tanti anni, ma quell'estate non l'ho mai dimenticata. Non ho mai dimenticato nemmeno quelle professoresse tanto ottuse e sadiche, e così poco equilibrate.
Ma soprattutto non ho dimenticato il più grande insegnamento che ricevetti, seppure nei tempi e nei modi totalmente sbagliati: che il Mondo appartiene ai furbi.

Se potessi parlare con l'avvocato Arnoldi, gli direi prima di tutto che sono dannatamente daccordo con lui sulla questione compiti. Ma aggiungerei, vista la mia esperienza, che se gli insegnanti pensano che dare compiti sia utile, che siano moderati e che soprattutto VENGANO CONTROLLATI.
Perchè è molto doloroso per un bambino fare la figura del fesso.

Per quanto mi riguarda, per me questi discorsi sono tempo perso e fiato sprecato. Grazie al Cielo ho già dato con la scuola e va bene così.
Ma forse siamo ancora abbastanza in tempo per i nuovi bambini, che spero possano trovare insegnanti molto più sensibili ed all'altezza del ruolo che ricoprono.

Perchè è insegnando furbizia che distruggi il merito.


L'importanza di un Buongiorno

Lavorare oggi è diventata una vera impresa.
Lasciamo perdere questo involontario gioco di parole che starebbe meglio su Twitter che su un blog, ma riflettete per qualche secondo su quanto è difficile trovare lavoro di questi tempi.
Ok, tempo scaduto.

E' ormai retorica spicciola parlare quindi di quanto sia faticoso anche restare nel mondo del lavoro, reinventarsi per mandare avanti la propria attività, cercando di offrire servizi diversi e migliori.

Eppure, in tutto questo andare avanti per combattere la crisi, ho l'impressione che l'unico vero “mancato upgrade” sembra una cosa apparentemente semplice e a costo zero: la cortesia. Mi è capitato piuttosto spesso a dire la verità, ma ultimamente ho cominciato a farci molto più caso.

Non mi riferisco ad alcuni commessi di grandi catene, dipendenti che portano a casa lo stipendio senza batter ciglio e che vedono nel cliente un ennesimo scocciatore.
“Ecco che attacca il pippone sulla maleducazione dei commessi” direte voi... ma è davvero così scontato accettare questa cosa come abitudine? Se ogni giorno mi fottono 10 euro e diventa un abitudine, questo mi autorizza a non incazzarmi più?

Parlando di chi gestisce in proprio un'attività, questi accoglie il cliente a casa propria. Il cliente è quindi un visitatore, spesso uno del luogo o altre volte un forestiero, che sta varcando la soglia di questo posto attirato dall'insegna della locanda del negozio. Un posto frequentato da altri e che, in cambio della buona condotta da ospite, riceve un trattamento adeguato, ovvero di reciproca cordialità, rispetto e perchè no, affetto. In un sogno ad occhi aperti, il lieto evento dell'arrivo del cliente dovrebbe essere più o meno così:

Cliente: (che entra dalla porta): Buongiorno, è permesso?
Negoziante: (che sta dietro al bancone a sistemare cose): Oh, buongiorno caro Cliente, prego prego... serve aiuto? Ha bisogno di qualcosa?
C: (risposta 1): Grazie mille caro Negoziante, volevo solo dare un'occhiata alla sua mercanzia, se ho bisogno la chiamerò.
C: (risposta 2): Si, guardi ho bisogno di uno dei vostri oggetti. Potrebbe per favore mostrarmene alcuni? Ho questa cifra come tetto massimo di spesa e non vorrei discostarmi di troppo.
N: (riguardo la risposta 2): Ma certo, venga con me e le mostro questi prodotti, gliene mostro un paio della cifra che mi ha richiesto ma ricordandole quali sono i pregi e difetti e soprattutto le consiglio qualcosa di adatto alle sue esigenze.
(finisce la trattativa)
C: Bene, allora prendo questo, ecco i soldi che mi ha chiesto. Se ho problemi posso tornare?
N: Ma certo, per qualunque cosa si rivolga pure a noi, non ci sono problemi.
C: Molto bene, la ringrazio molto dalla sua cortesia e professionalità. Tornerò senz'altro per altri acquisti.
N: Grazie mille a lei. ARRIVEDERCI A PRESTO!

Che bello vero?
Non penso di essere troppo cattivo se vi faccio notare che “arrivederci e grazie” lo troviamo scritto sullo scontrino, quasi come dovesse bastarci quello.

Per quanto possa capire che stare dietro un bancone non sia facile, tra lo star dietro a clienti particolarmente esigenti e stress legato al fare i salti mortali per arrivare a fine mese o semplicemente essersi alzati dal letto col piede sbagliato, quello che solamente chiedo è un sorriso, cavoli.

Mi ripeto, io sono un tuo visitatore, ti vengo a trovare perchè tu hai deciso di aprire la porta di casa tua perchè decidi di offrirmi dei servizi o degli oggetti in cambio del mio denaro. Non è detto che io entri solamente perchè devo fare a tutti i costi un affare, magari ho anche piacere nel salutarti ed augurarti buona giornata e buon lavoro. E comprando da te ti sto certamente dando una mano. Ed invece troppe volte in certi posti mi guardano come se non fossi gradito.

Quasi che il mio andare in un negozio sia “ecco, un altro stronzo che non ha un cazzo da fare e viene a rompere i coglioni”.
E tu, mio caro negoziante, non sai chi è quello stronzo che entra.
Non sai per quale motivo quel giorno è a spasso.
Non sai se ha perso il lavoro e sta facendo un giro perchè dopo troppo tempo dentro casa uno rischia di impazzire.

Per questo a volte chiedo un semplice buongiorno, solamente il saluto più semplice e allo stesso tempo più bello che esiste: stai augurando ad un'altra persona una buona giornata.
Non un ora, non mezza giornata... una giornata intera. Gratis.

Ed in cambio, per quel buongiorno sorridente io potrei anche essere più incentivato a darti un po' dei miei pochi soldi, perchè tu mi hai reso felice gratis.